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Hai mai sentito qualcuno dire: “Eh, ma quel pino lì ha le radici alte, guarda come spuntano…”

Ecco. Se l’hai sentito, sappi che sei in buona compagnia.

Anzi, ti dico di più: è quasi una frase da bingo del giardiniere esasperato.

Basta una passeggiata in un parcheggio alberato o davanti a un’aiuola pubblica, e parte il commento da bar: “Quelle radici lì fanno danni, stanno venendo su, sono pericolose…”

Ora, prendiamoci un momento per riflettere.

Ma davvero le radici “vengono su” così, spontaneamente, perché non hanno nulla di meglio da fare?

O forse c’è qualcosa che noi, con la nostra brillante gestione urbana, abbiamo sbagliato?

Sì, lo so, già qui potresti intuire dove voglio andare a parare, ma non saltare subito alle conclusioni.

Facciamo un passo indietro e guardiamo l’albero come quello che è: un essere vivente, complesso, silenzioso (fin troppo), che cerca solo di adattarsi per non morire.

E già solo per questo meriterebbe rispetto.

Un albero è molto più di quello che vedi

Te lo dico senza girarci troppo intorno: se ti limiti a guardare la chioma, stai vedendo solo la punta dell’iceberg.

O meglio, la punta del pino.

Sotto c’è un intero mondo. Letteralmente.

Radici primarie, secondarie, capillari, connettori invisibili, un sistema vivo che respira, cerca acqua, raccoglie nutrienti e comunica anche con altri alberi.

Sì, comunica. E lo fa meglio di molti esseri umani su WhatsApp.

Però sai qual è il problema? Che di quel mondo lì non si vede niente.

E quindi, come spesso accade, se non si vede non esiste.

O peggio, se non si capisce si inventa.

E così, magicamente, ovunque spuntano radici alte.

Spoiler: le radici alte non esistono. Esistono le radici adattate.

O, più tristemente, esistono alberi in difficoltà che stanno solo cercando di sopravvivere in mezzo al disastro che abbiamo creato attorno a loro.

Ma perché allora si vedono?

Domanda legittima. E la risposta è semplice, quanto fastidiosa: perché l’albero non riesce più a respirare.

Ti faccio un esempio terra-terra (che poi è proprio il caso di dirlo): immagina di dover vivere con la testa in un sacchetto.

Dopo un po’ cercheresti anche tu un buco per respirare, no?

Ecco, le radici fanno la stessa cosa. Cercano ossigeno.

Perché sì, le radici respirano. Non è poesia, è botanica.

E cosa troviamo sopra quelle radici?

Cemento. Asfalto. Autobloccanti messi “a regola d’arte” che sigillano il suolo come se fosse un bunker.

Hai presente quella striscia di terra larga un metro e lunga quanto basta dove ogni tanto ci piantano un albero, così, per dire che “abbiamo fatto il verde pubblico”?

Ecco, quello è il luogo perfetto per soffocare lentamente una pianta.

A quel punto, le radici non “vanno su”.

Le radici vengono lasciate sole, e si arrangiano. Sviluppano strutture più superficiali, magari avventizie, magari deformi, ma vitali.

Perché se no l’albero muore. Semplice.

I pini sono i cattivi? O siamo noi?

Ora, lasciami dire due parole sul grande imputato: il pino.

Non c’è pianta che abbia una reputazione peggiore nel condominio medio.

“Sporca, puzza, casca, ha le radici che spaccano tutto…” Ma davvero?

Davvero la colpa è del pino, o magari è del fatto che lo abbiamo piantato in mezzo al marciapiede, su un terreno argilloso e compattato, con due dita di terra sopra un tombino?

Perché sai, se pianti un albero di 15 metri in una buca di 40 centimetri, poi non puoi pretendere che si comporti come un bonsai giapponese.

È come infilare un orso in una cuccia da chihuahua e stupirsi se rompe tutto.

Senza contare che prima di piantarlo, spesso lo abbiamo anche zollato male, tagliato le radici principali, magari lasciato la rete metallica del pane di terra attorno, così, giusto per soffocarlo meglio.

Poi ci mettiamo sopra gli autobloccanti.

E magari asfaltino fino al colletto, tanto per essere sicuri che non scappi.

E vogliamo parlare degli scavi che passano regolarmente a 30 centimetri dal tronco per posare i cavi della fibra o rifare i marciapiedi?

Un po’ come se ti rifacessero la cucina passando con il martello pneumatico sullo stomaco.

Radici alte, chioma spogliata

Come se tutto questo non bastasse, diamo anche una bella spalcatura per “alleggerire”, che tradotto vuol dire togliere i rami bassi perché danno fastidio alla segnaletica o al camion della nettezza urbana.

Così il baricentro si alza, e l’albero diventa sempre più simile a un’antenna.

Poi, siccome ci sembra troppo grande, lo capitozziamo.

Una bella potatura “a palla di gelato”, giusto per far contento l’assessore.

Risultato? Un palo, senza equilibrio, con una zolla cementificata e quattro radici che cercano ossigeno.

Se sopravvive è un miracolo.

Se cade, è colpa delle “radici alte”. Comodo, no?

Ma quindi, cosa dovremmo fare?

Intanto potremmo iniziare con una domanda semplice: e se fossimo noi il problema?

Se invece di accusare le radici, ci chiedessimo in che condizioni abbiamo messo quelle piante?

Se provassimo a capire che un albero non è un arredo urbano, ma un organismo vivente, con esigenze vere e precise?

Per esempio:
– Hai mai visto una pianta felice in un’aiuola chiusa tra marciapiede e asfalto?
– Ti sei mai chiesto come mai i rami si seccano dopo qualche anno, o perché la chioma si riduce sempre più?
– Hai mai notato che in certi viali gli alberi cadono uno dopo l’altro, come birilli?

Il punto è questo: non c’è bisogno di diventare esperti di arboricoltura per capire che gli alberi non stanno bene.

Basta guardarli con attenzione. Osservare. Fare domande.

E smettere di cercare colpe dove ci sono solo sintomi.

Un po’ di umiltà verde

Siamo una specie giovane, testarda e molto presuntuosa.

Pretendiamo di piegare la natura ai nostri ritmi e alle nostre esigenze, poi ci stupiamo se quella si ribella o si spegne.

Ma forse è il momento di cambiare atteggiamento.

Di imparare a convivere con le radici. Anche quando si vedono.


Perché sai una cosa? Quando spuntano, non è un segnale di pericolo.

È un messaggio. Un invito.

Un “ehi, qui sotto c’è vita, ascoltami”.

E magari, se imparassimo ad ascoltare, scopriremmo che un albero con le radici in vista non è un problema da risolvere.

È un segnale da capire.


E forse, se lo capissimo davvero, potremmo anche iniziare a prenderci cura di loro.

Prima che sia troppo tardi.

Autore: Roberto Massai

Giardino Futuro - Roberto Massai Natural Garden Designer, Arboricoltore, Giardiniere.

Natural Garden Designer & Life Coach

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